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Insectionals Collective

Dal 2020

Bio in breve: Siamo un collettivo anarchico che si occupa di antispecismo radicale e intersezionale, decolonialità, ecofemminismo, anti-civ, orizzontalità, liberazione totale. Su Instagram scriviamo in doppia lingua, italiano e inglese.

Femminista perché: Insectionals, essendo un collettivo anarchico e antispecista radicale, prende ferma posizione contro ogni tipo di oppressione sistemica. Rigettiamo l’ottica single-issue. Credendo nella radicalità della lotta, rigettando l’animalismo-veganismo mainstream, ribadiamo la necessità di una prassi intersezionale. Non solo per garantire uno spazio sicuro agli/alle/u attivistu, ma anche per il fatto che gli stessi non-umani siano vittime del sistema cis-eteronormativo, parte integrante dello stigma specista. Insectionals rivendica la libertà da parte delle vittime a resistere nel modo che ritengono più consono. Non tolleriamo che vengano a crearsi nel movimento antispecista dinamiche di potere (micro-aggressioni quali: sovradeterminazione, paternalismo, tone-policing, gaslighting) tali da invalidare le esperienze degli/delle/u oppressu. Insectionals ribadisce inoltre l’importanza politica legata al prendere posizione, prassi essenziale per non essere complici. Restare in silenzio significa scegliere la parte dell’oppressore.

«Le vite degli animali precedono e rendono possibile l’esistenza della “carne”. Se gli animali sono vivi, non possono essere carne; di conseguenza, un corpo morto sostituisce l’animale vivente. Senza gli animali, l’alimentazione carnea non sarebbe possibile, ma essi sono assenti nell’atto del mangiare carne in quanto trasformati in cibo. Gli animali vengono resi assenti attraverso il linguaggio che rinomina i loro corpi morti prima che il consumatore se ne alimenti […]: non macelliamo animali, ma “cuciniamo”» (Carol J Adams, in Carne da Macello). La struttura del referente assente si manifesta nelle dinamiche di oppressione nei confronti degli individui animali non umani, delle donne umane e di altre corporalità non egemoniche. Questo paradigma si fonda sull’annichilimento delle personalità, sulla progressiva rimozione del singolo che diviene referente del prodotto consumabile dalla società utile. Eliminarlo è un atto violento, riassumibile in tre passaggi: il primo è caratterizzato dalla reificazione, e cioè la fase in cui la percezione di qualcuno si trasforma in percezione di qualcosa, cambiando l’assetto ontologico attraverso la metafora ed il linguaggio; il secondo si può identificare nella frammentazione, e cioè lo smembramento del corpo, di cui ognuna delle parti assume via via autonomia rispetto al tutto, finendo per trovarsene svincolata; il terzo infine consiste nella fase finale della consumazione della violenza, incarnato dal consumo di quelle parti. Il simbolismo del referente frammentato non evoca più se stesso, ma qualcos’altro. Ciò non accade solo relativamente ai corpi non umani: vengono infatti normalizzati anche i valori patriarcali. Come i corpi morti degli animali non umani vengono silenziati dal nostro linguaggio quando parliamo di “carne”, allo stesso modo le donne umane diventano referente assente nella descrizione della violenza di genere. Queste ultime infatti, il corpo delle quali molto spesso viene stuprato realmente, sono cancellate completamente quando il linguaggio della violenza sessuale è usato metaforicamente. Ci sono tre modi per mezzo dei quali gli animali diventano referenti assenti. Uno è letterale: nell’alimentazione carnea, essi sono letteralmente assenti in quanto morti. Un altro attiene alla sfera della definizione: quando mangiamo animali, cambiamo il modo di parlarne (ad esempio, non parliamo di individui, ma di “bacon”, “crocchette”, etc). Il terzo modo è metaforico: gli animali diventano metafore per descrivere esperienze umane. In questo senso metaforico, il significato del referente assente deriva dalla sua applicazione o dal suo far riferimento a qualcos’altro. Lo stupro ed il mangiare carne, che paiono forme distinte di oppressione, trovano un punto di intersezione proprio nel referente assente. Lo stupro ha dunque un differente contesto sociale per le donne rispetto agli animali e vale lo stesso per la macellazione rispetto alle persone umane. Parallelismi tra violenza di genere e macellazione non sono quindi appropriati, se non fatti da individui direttamente coinvolti. Infatti un conto sarebbe rintracciare a livello sociologico le dinamiche di potere che si manifestano in entrambi i modi, per quanto diversi; un altro conto sarebbe oggettificare ulteriormente oppressi, che sistematicamente sono silenziati, appropriandosi delle loro esperienze per fare propaganda. Il referente assente crea una dialettica di assenza e presenza di gruppi oppressi: quando ci si riferisce ad un gruppo oppresso assente, dal punto di vista teorico ne è implicato anche un altro. Supportare il referente assente significa aderire alle narrativa mainstream, portando avanti un comportamento in cui si asseconda l’assimilazione dei modelli culturali dominanti e coloniali – affermandolo come legittimi – nei confronti di tutte le corporeità non egemoniche. Non possiamo pensare di liberare i non umani, se applichiamo ancora dinamiche violente di prevaricazione, oggettificazione, appropriazione, rimozione.

Vivere in una società antropocentrica influenza costantemente i nostri comportamenti, producendo istanze paternaliste che si riflettono sull’attivismo. Essere vegan* non ci assolve da altre oppressioni che possiamo tollerare. Come collettivo sosteniamo un approccio contro ogni oppressione perché, citando Carol J Adams, «il dominio funziona meglio in una cultura di disconnessioni e frammentazioni». Il movimento antispecista deve centrare gli individui non umani, rifiutando l’adorazione dei cosiddetti “eroi” e “salvatori”, e promuovendo un pensiero critico e di autocoscienza in tutti gli spazi politici. Non è facile decostruire questa cultura sociale ed economica monolitica; partendo da “il personale è politico”, riconosciamo gli animali non umani come le persone che sono attraverso la loro autonomia dei corpi, l’intelligenza, la ragione, i desideri, la senzienza, etc. Per questo dobbiamo tenere la nostra posizione sul loro stesso livello. È un duro lavoro quotidiano di pazienza, esperienza e autoeducazione. Dobbiamo (dis)imparare i nostri privilegi. Gli individui non umani hanno bisogno di alleati, non di salvatori. Non vengono salvati, vengono aiutati a liberarsi. Resistono, si ribellano, fuggono e combattono di fronte ad un dominio specista radicato e normalizzato capillarmente. La gentrificazione e altri tipi di controllo rendono le loro vite impossibili fuori dai luoghi di sottomissione. Ecco perché non possiamo promuovere gerarchie ma cooperazione interspecifica e mutuo aiuto. Non c’è spazio per il binarismo antropocentrico tra gli animali umani e non umani nella lotta antispecistica, perché legato al concetto di “umanità”. I non umani non sono “senza voce” – parola non solo specista ma anche abilista – sono messi a tacere. Il nostro ruolo dovrebbe far luce sull’oppressione che loro vivono, senza sovradeterminazioni quali il paternalismo. Se riconosciamo le persone non umane come il centro del loro stesso movimento, allora dobbiamo anche riconoscerle come i primi resistenti attivi contro l’oppressione sistematica di specie. Infatti ogni esistenza diversa dal modello prestabilito – che è umano, maschio, bianco, cis-het, sano, normale, abile, carnivoro e proprietario – diventa resistenza. La resistenza è anche politica ogni volta che un individuo non umano resiste allo sfruttamento: scappare, ribellarsi, difendersi, attaccare, urlare. Hanno una voce, ma sono messi a tacere. Il sistema non può permettere agli individui di uscire dallo schema, motivo per cui questa resistenza è controllata e normalizzata capillarmente. Grazie a Carol J. Adams conosciamo il processo di reificazione che costituisce il “referente assente”, cioè la trasformazione di un individuo razionale, cosciente e senziente in un oggetto. I non umani negli allevamenti sono in realtà numeri, le tecniche di soggiogamento li rendono annichiliti e docili. Quindi diventano non-individui e gli allevamenti diventano non-luoghi. I santuari sono quei luoghi degni di tale nome, in cui gli individui possono essere se stessi, mentre gli allevamenti sono non-luoghi di potere mercificante e oppressivo. Come antispecisti radicali, riconosciamo e appoggiamo pienamente i santuari come luoghi di resistenza, indispensabili per un periodo di transito verso una liberazione totale. È incoraggiato qualsiasi modo per sostenerli: con aiuti finanziari, quindi con adozioni a distanza o con donazioni, con aiuti reciproci donando direttamente cibo, il volontariato per mantenere puliti questi luoghi, etc. Questo supporto è una parte fondamentale della nostra lotta. 

Grida di gioia: Liberazione totale!

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Segnalazione a cura di GLTeam

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