Contributo di Alice Lou – gioia libera tuttə per la laboratoria di AUTOCOSCIENZA “Hacking del sé” che abbiamo organizzato per L’8 Marzo 2025 con Non Una Di Meno – Prato all’interno di LOTTO, BOICOTTO, SCIOPERO – una giornata di manifestazione promossa insieme al sindacato Sudd Cobas, al Comitato 25 Aprile Prato e al Collettivo di Fabbrica GKN Insorgiamo. A partire dalla lettura di questo elaborato (una recensione sul saggio dal titolo – appunto – Hacking del sé. Disertare il capitalismo del controllo del Collettivo Ippolita, pubblicato da Agenzia X ad ottobre 2024) abbiamo riflettuto sui nostri “corpi digitali” e sul nostro rapporto con la tecnologia…
Prato, 8 marzo 2025
BUON LOTTO MARZO A TUTTə!
SUL PERCHÉ SENTIAMO IL BISOGNO DI AVVICINARCI – UMILMENTE 🙂 – A CONOSCERE IL TEMA DEL CYBERFEMMINISMO E DELLA CONSAPEVOLEZZA, RESISTENZA E AUTODIFESA DIGITALE.
Io (Alice), Elena e Ilenia abbiamo una chat, non ci vediamo molto ma ci scriviamo molto spesso. Lì progettiamo, condividiamo pensieri, messaggi operativi quando organizziamo iniziative con gioia libera tuttə, ma anche umori, emozioni, stanchezze, non slegate dall’attivismo e dalla difficoltà di trovare energie e risorse per costruire e concretizzare idee, tante idee. Possiamo dire senza ombra di dubbio che il nostro attivismo si performa anche e soprattutto “on line” per poi uscire da quello spazio e diventare ciò che viene definito “on life”. (Questa dimensione è uno “spazio liminale” che compenetra realtà fisica e realtà virtuale, che comunicano in maniera bi-direzionale, dove sembra non esserci più un piano gerarchico fra l’una e l’altra ma è davvero così? La domanda è mia, ed è aperta alla riflessione/discussione!]
La frustrazione aumenta se si avverte il pericolo nella pancia che i mezzi che abbiamo a disposizione – apparentemente gratuiti e liberi – siano ricattabili, insicuri, oppressivi, violenti; soprattutto nelle ultime settimane, a partire dalla nuova presidenza in USA di Trump/Musk, alla quale si sono politicamente allineate tutte le Big Tech Companies statunitensi (Amazon, Meta, Google, Apple, etc…). E non sono solo i mezzi, l’unica posta in gioco ma gli spazi reali-virtuali che ormai costituiscono i luoghi dove si progetta, socializza, organizza… e dove si comunicano le nostre battaglie e visioni sul mondo. Un patrimonio immenso di risorse, relazioni, contenuti, ore di lavoro, ore di chat, ore di messaggi e tantissimi altri aspetti di valore che saremmo in grado di elencare insieme.
Quanto controllo abbiamo sui mezzi di comunicazione che usiamo quotidianamente? E sugli spazi che abitiamo digitalmente e che influenzano e impattano gli spazi materiali? Possiamo tutelare il lavoro che facciamo in questi luoghi virtuali? Cosa può accadere se cambiano le regole del “sistema”? Sappiamo quali sono le regole del “sistema”? Quali i “confini”? Siamo consapevoli dei rischi? Conosciamo strategie di tutela? Conosciamo pratiche di resistenza e autodifesa digitale che possono farci sentire più al sicuro o quantomeno prontə al rischio della censura o chiusura di account, profili, pagine, gruppi, community, etc. (che rappresentano anni della nostra vita, tempo, lavoro, attivismo, relazioni… con un valore immateriale e materiale difficile da misurare, prodotto attraverso le nostre attività e relazioni in rete)? Sono paure e inquietudini esagerate o le stiamo avvertendo tuttə? Queste sono le domande che ho iniziato a pormi con Elena e Ilenia.
Abbiamo quindi provato a contattare il Collettivo Ippolita, realtà a cui fa capo la raccolta di riflessioni nel saggio Hacking del sé (pubblicato da Agenzia X ad ottobre 2024), per iniziare a stabilire un contatto con chi lavora da tempo su questi temi e soprattutto su “strategie di consapevolezza e resistenza digitale”. Questi temi ci sembrano sempre più importanti e urgenti, soprattutto dopo le politiche messe in atto dall’oligarchia tecnocratica statunitense, decisioni e azioni che influenzano anche il campo delle tecnologie di comunicazione digitali di massa (con tutte le relative conseguenze sulla nostra vita sociale), tecnologie che, anche noi, usiamo quotidianamente e attraverso cui cerchiamo di comunicare rappresentazioni del mondo che diano voce alle lotte e ai processi necessari per una società fattivamente più giusta, ampia e plurale.
CHI È IPPOLITA
Ippolita è un gruppo di ricerca indipendente e di formazione indisciplinare attivo dal 2004. Si definisce “cellula tecnopolitica oltre l’informatica del dominio”, ispirato dal principio che loro stessə definiscono di “non purezza radicale”, che inquadra il concetto cyborg in senso cyberfemminista nella “possibilità di nuove figurazioni politiche costruite sulla cancellazione del confine tra organico e tecnologico, animale e umano” (p.88).
PREMESSA
Nel capitolo Colonialismo digitale del loro saggio Hacking del sé si legge: “Le piattaforme sono a tutti gli effetti progetti di stampo coloniale che regolano la comunicazione globale secondo uno schema culturalmente guidato dal capitalismo statunitense. Le tecnologie commerciali si installano nei nostri vissuti con l’idea di esportare la democrazia […] ma non si tratta solo di strumenti della comunicazione. Ci troviamo di fronte a una forma di suprematismo ideologico, continuazione di quello patriarcale e bianco, con mezzi tecnologici. Le grandi major dell’IT sono i nuovi padroni globali che ci indicano dove e come produrre senso, omogeneizzando ogni differenza culturale.”
Risuonano così le parole di Audre Lorde tratte dai suoi scritti politici in Sorella Outsider (p. 189): “gli strumenti del padrone non smantelleranno mai la casa del padrone. Ci possono permettere di batterlo temporaneamente al suo stesso gioco, ma non ci metteranno mai in condizione di attuare un vero cambiamento.”
I servizi web e le app che usiamo tutti i giorni hanno fatto della diversità una variante del consumo. Nel diversity management – (ovvero nell’insieme delle politiche adottate da un’azienda per promuovere la diversità all’interno dell’ambiente di lavoro) – esiste una scatola per ogni cosa, purché sia digeribile senza sforzi dal mercato. Il dissenso e il pensiero critico sono dunque un’alternativa che non mette in discussione il sistema ma costituisce un semplice +1 da aggiungere alla lista delle variazioni sino ad ora immagazzinate. In questo modo viene creato un falso senso di egualitarismo, una orizzontalità reificante in cui ogni differenza sembra avere cittadinanza perché abbiamo tuttə le stesse interfacce di comunicazione.” (pp. 77-78)
ALCUNI SPUNTI DI RIFLESSIONE DA HACKING DEL SÉ
COSA POSSIAMO SAPERE?
Ogni capitolo di questo testo offre spunti su analisi che, nel corso della lettura, ho sentito, non solo interessanti ma anche necessarie per le pratiche dell’attivismo transfemminista, e non solo. Invito ognunə a leggere direttamente il testo, ricco e pieno di input nutrienti, perché ciacunə possa cogliere e farsi ispirare da quello che sente più vicino ed utile. Ameremmo iniziare – con gioia libera tuttə – un percorso di lettura collettiva di testi che ci interessano e percepiamo sempre più urgenti per co-progettare le azioni dei nostri attivismi ma su questo punto, torno nelle conclusioni.
Gli spazi del web e dei social network rappresentano a tutti gli effetti una fetta molto grande del nostro lavoro e sappiamo bene quanto non sia pensabile tornare all’era “pre-digitale” per garantirci spazi di espressione e libertà. Urge capire però in quali spazi digitali, come e a quali condizioni possiamo muoverci liberamente nel veicolare le rappresentazioni del mondo che desideriamo e per il quale vogliamo agire. E urge capire come possiamo ri-configurare e risemantizzare gli spazi digitali che utilizziamo, in un’ottica di tutela, autonomia, libertà ed etica. Etica che Ippolita intende come non solo “qualcosa di confinato nel regno dei diritti” ma tutto ciò che ha a che fare con “il concetto di azione politica e con la gestione dei rapporti di potere” (p. 90).
COSA POSSIAMO FARE?
Ippolita propone in questo testo, fra le avanguardistiche analisi, uno spostamento di focus da “fuori” a “dentro”. Che significa? Nel capitolo Colonialismo digitale si afferma che serve adottare una prospettiva chiamata di “coscientizzazione”, per la quale ognunə debba prendere in carico un lavoro con la propria coscienza. Aggiungerei che potrebbe, questo lavoro, spesso e volentieri andare a contattare i nostri schemi psicologici più profondi, da guardare e de-costruire, un lavoro difficile ma necessario per creare il cambiamento anche nell’uso/abuso della tecnologia, data invece per scontata e senza alternative. Il cambiamento collettivo sembra dipendere anche e soprattutto dal lavoro individuale perché configurato, quello collettivo, come il risultato di un “contagio [antidoto?] cosciente” di una somma di coscienze consapevoli.
Il processo di coscientizzazione si muove da una precisa consapevolezza: “nelle società del controllo di oggi, il comando all’obbedienza, al consenso verso il potere, alla logica dello sfruttamento come dimensione unica della relazione e della legalità, è ormai completamente interiorizzato” (p. 141).
Ammettere il dominio coloniale dell’Iphone e agire questo cambiamento, scrive Ippolita, ci fa molta paura. E continua facendosi ispirare da bell hooks nell’idea che: “[…] la teoria e la coscienza siano strettamente legate alle pratiche materiali della metamorfosi e dell’autoguarigione. Perché non basta dire ‘lo so, ne sono consapevole’, occorre agire” (p. 79).
Ecco perché uno dei punti centrali proposti è il concetto di cura di sé e della comunità attraverso l’hacking. “Come uscirne? – [ci invita a chiederci Ippolita] – Se osserviamo quanto la tecnica sia ormai onnipervasiva e quanto siamo largamente soggiogat* da dinamiche di delega a essa, possiamo dire che siamo al sorgere di un regime tecnocratico. Tuttavia l’essenza della tecnica è sociopolitica e culturale. Riflettere sulla tecnica vuol dire riflettere su quello che siamo. Se è così si apre un ventaglio di possibilità. Una di queste è la pedagogia hacker, ossia mutuare dalla figura dell’hacker la sua particolare attitudine: la voglia di scoprire, conoscere e porsi domande sull’ambiente in cui ci si trova. E quando si presenta un problema lavorarci sopra per cercare di risolverlo […]: dedicarsi alla formazione di Sé attraverso l’esercizio etico vuol dire fare un hacking in senso individuale e collettivo delle norme anarcocapitaliste che ci agiscono, in quanto la cura del sé non è disgiunta dalla cura della comunità” (p. 29).
Abbiamo bisogno sempre più di diventare “comunità educante” soprattutto in contesti e tempi in cui l’istituzione decide, in maniera subdola, di veicolare – attraverso la tecnocrazia – una narrazione del mondo e costruzione culturale ideologica, antiscientifica, retrograda, faziosa, dannosa, oppressiva, violenta, gerarchizzante e marginalizzante (vedi ahimè cosa accade in merito ai temi attuali come – ad esempio – il diritto all’accesso ad un aborto sicuro, l’educazione sessuo-affettiva, il diritto alla cittadinanza, etc…).
Abbiamo bisogno di educarci e responsabilizzarci come individui e dal punto di vista di tutti i nostri Self, anche i Self digitali. “Il sapere è potere [ci ricorda Ippolita]. Questo momento etico, che è molto netto nell’ambito informatico, può avere una sua fioritura politica se è messo in relazione a una diversa idea di giustizia sociale che diserti il privilegio maschile e bianco” (p. 82).
La cultura hacker va oltre le macchine e i codici informatici poiché sostiene che si può fare hacking con qualsiasi cosa, è un concetto, una pratica: darsi la possibilità di decostruire e ricostruire un oggetto cambiando le regole con cui era stato progettato e fargli fare qualcosa di completamente diverso ed inaspettato. Per tale ragione l’hacking ha coinvolto molte personalità in campi anche molto diversi dall’informatica, e si legge: “Il cyberfemminismo ha avuto a che fare più con l’arte che con la tecnica in senso stretto” (p. 86). [Per un approfondimento su questo, segnalo l’articolo firmato sempre da Ippolita e pubblicato sulla rivista NOT il 24 giugno 2021, dal titolo Cyberfemminismo e Controcultura].
3 ESEMPI DI CONTROCULTURE DIGITALI
Dal punto di vista comunitario, Ippolita parla inoltre di alternative da osservare, in particolare di culture digitali che si sono formate “ai margini” rispetto al sistema centralizzato e che aiutano a iniziare a pensare all’idea che esistono possibilità altre “per vivere la tecnologia possibilmente in senso ecologico” (p.80):
- EVENTO Hackmeeting (www.hackmeeting.org): evento che oggi raduna controculture informatiche in Italia, Spagna e America Latina, per presentare nuovi gruppi e servizi. La prima edizione italiana è stata quella tenutasi al CPA di Firenze sud, nel 1998. Dal 2000 si organizza anche in Spagna e in alcuni paesi dell’America Latina (in Bolivia e Mexico, sinora). Sul loro sito è possibile leggere la storia del movimento italiano [qui].
- GRUPPO Comunità A/I (www.autistici.org / www.inventati.org): gruppo che nasce nel 2001 dall’incontro di individualità e collettivi provenienti dal mondo antagonista e anticapitalista, impegnati a lavorare con le tecnologie e attivi nella lotta per i diritti digitali; ad oggi rappresenta il maggiore server europeo autogestito che eroga servizi per l’attivismo: “Crediamo che questo non sia affatto il migliore dei mondi possibili. La nostra risposta è offrire ad attivisti, gruppi e collettivi, piattaforme per una comunicazione più libera, come per esempio email, blog, mailing list, instant messaging e altro.”
- SERVER Cisti (cisti.org): server che si definisce “uno spazio digitale liberato, scapestrato e autogestito, anticapitalista, antifascista, antirazzista, antisessista” e che racconta di essere nato “nelle fumose stanze dell’hacklab underscore di Torino, un laboratorio di sperimentazione e critica tecnologica lontano dalle logiche del profitto.” Si occupa non solo di tecnica ma anche di politica in quanto questo “manipolo di hacker” ha deciso di rimboccarsi le macchine e riprendere il controllo degli strumenti che si utilizzano per comunicare e organizzarsi quotidianamente. Dicono: “A noi piace definirlo server radicale, ed è la nostra risposta alle megamacchine digitali. […] Crediamo che la tecnologia non sia neutra, che Internet possa diventare anche uno strumento di oppressione, che l’informazione e il software debbano essere liberi e che le conoscenze non siano merce. Per noi l’hacking è studio e condivisione, sperimentazione e uso consapevole ma anche non convenzionale degli strumenti.”
PROPOSTA DI GIOIA LIBERA TUTTƏ ALLE REALTÀ FEMMINISTE DI PRATO: UN PERCORSO DI AUTOFORMAZIONE E CONSAPEVOLEZZA COLLETTIVA
Cipiacerebbe proporre una pratica di lettura collaborativa per i prossimi mesi, che prenda spunto dall’esperienza francese Arpentage ovvero Sondaggio/Rilevamento (tradotto più o meno letteralmente in italiano; qui un video che mostra come funziona l’atelier/laboratorio). Questa tecnica di lettura, che consiste nel condividere un’opera tra più lettorə in un gruppo, pare essere un metodo diffuso in Francia dalla fine del diciannovesimo secolo; recentemente riscoperta come pratica laboratoriale in alcuni ambienti culturali, consiste nel con-dividere e dividere (materialmente) un libro scelto e leggerlo insieme ma separatamente (suddividendolo ad esempio in capitoli in modo che ogni partecipante abbia alcune pagine). Dopo una prima fase di lettura contemporanea, si passa alla restituzione collettiva in cui ognunə racconta quanto appena letto… L’autoformazione diviene così cooperativa, dialogica e responsabilizzante per ogni partecipante (senza ansie da prestazione però!) e avviene nella socializzazione dei saperi. Questo possibile percorso, la scelta dei temi e testi, quindi la ricerca bibliografica, potrebbe essere co-progettato insieme, tra realtà femministe della città, e magari aprirsi al territorio come proposta di una serie di incontri dedicati all’autoformazione collaborativa, ovviamente femminista, per tuttə.
Il tema che abbiamo appena introdotto in questo articolo cita il Cyberfemminismo che ad esempio potrebbe essere approfondito con molti altri testi… ma si potrebbe anche scegliere un altro filone, sicuramente in base ai temi che più ci stanno a cuore e sentiamo in comune; questa idea è un desiderio sul quale ragioniamo da un po’ di tempo con gioia libera tuttə ma ci piacerebbe costruirlo insieme ad altre realtà come pratica di lotta che parte dallo studio collettivo per arrivare a nuove consapevolezze e che avviene negli spazi reali-virtuali del territorio.
Che ne pensate? In caso siate interessatə, non esitate a contattarci!
Intanto, grazie di cuore per questo prezioso spazio di condivisione e ascolto. Spero che questa condivisione di alcuni temi del saggio Hacking del sé possa stimolare un vivace momento di autocoscienza personale e collettiva.
Ci auguro infine la possibilità di radicarci in pratiche come questa sempre più spesso, per affrontare insieme tempi che purtroppo sentiamo sempre più minacciosi e oppressivi, ma con maggiori consapevolezze e nuove prospettive su un possibile cambiamento, a partire da noi, da qui.
Buona lotta per la liberazione di tuttə!
Alice Lou <3
LIBRO
Titolo: Hacking del sé. Disertare il capitalismo del controllo
Autorə: Ippolita
Casa editrice: Agenzia X
Anno di pubblicazione: 2024
In questo saggio, il Collettivo Ippolita (gruppo di ricerca indipendente che si occupa di culture digitali, filosofia dell’informatica, tecnopolitica, editoria e formazione, con un taglio femminista e libertario) si interroga sui possibili percorsi di liberazione… “L’hacking del sé è un esercizio di cura per disinnescare le norme inscritte nei nostri corpi dal capitalismo del controllo. Per annullarne la forza, per creare attrito nei suoi automatismi, per riappropriarci dei nostri modi di sentire e sentirci. Amare il nostro corpo digitale ci permette di immaginare una relazione con le tecnologie basata sulla reciprocità e non su dipendenza e sfruttamento. Emanciparci dalle grandi corporation significa fare un passo di consapevolezza e di responsabilità tecnica, etica ed ecologica. L’hacking del sé è tanto individuale quanto sociale perché solo partendo dalla propria esperienza situata è possibile aprire il percorso a una coscientizzazione collettiva. Il libro testimonia il percorso compiuto dal gruppo di ricerca Ippolita negli ultimi cinque anni, un periodo di fitto confronto intersezionale con i movimenti femministi, queer, decoloniali, antispecisti, senza i quali non è possibile decostruire radicalmente le dinamiche di dominio delle tecnologie del controllo.”