Prato, 19 novembre 2023. Innanzitutto, voglio ringraziare le organizzatrici di questa bellissima due giorni (gioia libera tuttə – oltre la 194) e dirvi il mio dispiacere per non essere presente fisicamente, purtroppo per motivi che non dipendono dalla mia volontà (mi sono beccata il covid). Occasioni di scambio come questa sono preziose, perché uniscono alla necessità della riflessione la necessità dell’attivismo. Voglio dedicare questo momento a Giulia Cecchettin, il mio pensiero d’amore va a lei, con rabbia e con dolore.
Il personale è politico, è nel titolo italiano del libro di Harmange che spero leggerete, è nella prefazione che ho scritto con Angela Balzano, è nel nostro pensiero e nel nostro attivismo.
In Italia l’aborto è tutelato per legge ma non è un diritto
In Italia l’aborto è tutelato per legge ma non è un diritto, se stiamo anche solo semplicemente alla definizione che di “diritto” danno i vocabolari come “interesse individuale o collettivo la cui rilevanza e tutela viene riconosciuta dall’ordinamento giuridico”.
Quando si tratta di norme giuridiche che hanno a che fare col nesso corpo-genere-sessualità le questioni si fanno sempre complicate, perché la norma si incarna e si pensa come maschile, bianca, cisgenere ed eterosessuale. Gli interessi del patriarcato si riflettono anche negli organi dai quali emana, e uno di questi è lo Stato, con le sue leggi. Le legislazioni sull’aborto – da quelle più progressiste e a quelle più restrittive – in questo senso sono emblematiche, basate troppo spesso sui principi dell’antico testamento: abortirai sì, ma con difficoltà, dolore e disagio.
Da una ricerca pubblicata nel 2018 – quindi con dati abbastanza recenti – dal Guttemacher Institute con il titolo “L’aborto nel mondo: processi irregolari e accesso ineguale” emergono due circostanze significative e preoccupanti:
- il 42% delle donne in età riproduttiva vive in uno dei 125 paesi in cui l’aborto è fortemente limitato, ossia vietato del tutto o concesso solo nel caso sia necessario per proteggere la salute della persona incinta;
- molti dei paesi con legislazioni apparentemente liberali, come per esempio gli Stati Uniti, in tema d’aborto hanno aggiunto sempre più restrizioni che di fatto ostacolano l’accesso alle procedure per l’interruzione volontaria di gravidanza.
Le norme che legiferano su questioni che hanno a che fare con il nesso corpo-genere e che investono il campo della sessualità sono sempre molto restrittive e piene di cavilli deterrenti, perché la norma non è mai astratta, è incarnata e pensa se stessa come bianca, cisgenere, eterosessuale e maschilista. E non è un caso, infatti, che di aborto sia ammesso parlare solo coi toni della sofferenza e della ferita non rimarginabile che segnerà per sempre l’esistenza. Il racconto di una scelta serena, di un’esperienza risolta, anche nella sua complessità, non solo non è ammissibile ma è inaudito, impronunciabile.
Non neghiamo la possibilità che l’aborto sia *anche* un’esperienza dolorosa e luttuosa, neghiamo l’esclusività di questo racconto, l’ingiunzione che l’aborto sia *solo* un’esperienza dolorosa e luttuosa.
Se in Italia l’interruzione volontaria di gravidanza assume quasi sempre i contorni della tragedia non è certo per via della sua natura di esperienza necessariamente traumatica, il trauma è dovuto quasi sempre ai tassi di obiezione, alle resistenze del personale sanitario e alla violenza epistemica.
L’aborto non riguarda solo le donne cisgenere eterosessuali
Questo posizionamento incarnato del potere, come già notavano le femministe ante litteram Mary Wollstonecraft e Olympe de Gouges, ha delle implicazioni molto concrete sui corpi delle donne e delle persone LGBTQIA+: infantilizzazione, patologizzazione, paternalismo, solo per citare le più evidenti. La simbologia del materno, per affermazione o per negazione, viene usata contro questi corpi in modo strumentale, relegandoli a una cittadinanza mozzata nella quale lo Stato si ricorda di loro solo quando li può strumentalizzare.
Per questo è importante non solo non ridurre il discorso sull’aborto e le battaglie per esso a una questione privata, ma soprattutto è fondamentale allargare questi discorsi e queste battaglie. Per esempio, e questo riguarda strettamente anche la proposta di legge di revisione della 194 che non a caso parla di tuttə, gli uomini non sono affatto esclusi dal dibattito sull’aborto, ci sono uomini che possono aver bisogno di ricorrere all’interruzione volontaria di gravidanza. Su questi uomini sì che c’è un grosso silenzio, se non negazione di esistenza, da parte non solo dello statochiesamercato ma anche di certe frange del femminismo.
L’aborto non riguarda solo le donne cisgenere eterosessuali, ma anche le persone trans, intersex, non binarie, genderfluid, riguarda tutte le persone che hanno un utero e una vita sessuale che può implicare il rischio (o il desiderio) di una gravidanza.
Queste persone sono nel dibattito, nessuna/o deve includerle, l’idea di inclusione porta con sé inevitabilmente la certezza del privilegio di chi si arroga l’autorità di decidere chi debba essere inclus_aou.
Ridurre le persone a un organo e da questo significarle come integrità inalterabile è un enorme strumento di oppressione, spacciato per verità scientifica, utilizzato dai fascismi, dalle religioni, dalle persone transodianti e dal patriarcato per continuare a garantirsi il privilegio. Per questo tutte le esperienze collettive femministe, transfemministe e queer che hanno raccolto e continuano a raccogliere attraverso inchieste, autoinchieste, mappature i racconti di chi ha scelto con serenità di abortire ma ha dovuto fare i conti con le enormi difficoltà di accesso al servizio sono dirompenti e rivoluzionarie.
Il mio corpo è il nostro corpo
Le politiche dell’utero sono politiche dei corpi, sui corpi, e il mio corpo è il nostro corpo. Per questo, l’aborto, non è una questione privata. E vi lascio con una citazione integrale dalla prefazione, mia e di Angela Balzano, al libro “Aborto. Il personale è politico” di Pauline Harmange:
Abbiamo sempre abortito e sempre abortiremo.
A quando risale questo slogan? Forse agli anni in cui le nostre madri/zie/nonne imparavano a dirsi femministe, i Settanta del XX secolo.
Abbiamo sempre abortito e sempre abortiremo.
Da dove viene questo slogan? Forse da ogni dove si è fatto forte di femminismi che hanno saputo agire valicando confini e ancora oggi risuona nelle nostre piazze. In questo libro, lo troverete sottotesto in ogni pagina, striscerà sino a esplodere nella sua dirompente verità: l’aborto accade da sempre, ma non da sempre e non ovunque è circoscrivibile nel recinto di una scelta personale che non ha nulla di collettivo, men che meno di politico.
Il passaggio fondamentale è dall’io al noi: noi abbiamo sempre abortito, non Valentina e Angela, non Pauline Harmange da sola.
[…] “Il personale è politico” non si riferisce semplicemente al fatto che la mia esperienza personale ha un portato politico nel momento in cui la socializzo e la rendo collettiva, ma esplica la sua potenza più dirompente proprio nel movimento contrario, quando ci rendiamo conto che quello che proviamo e come lo proviamo è spesso condiviso con le stesse sfumature dalle altre, perché abbiamo interiorizzato una cultura che ci vuole in un certo modo.
In quel momento, quando ci riconosciamo l’una negli occhi dell’altra, spezziamo l’incantesimo, decostruiamo la norma, indichiamo il re nudo.